La banalità del morire (due casi di infortunio mortale sul lavoro)

Prossimo alla pausa estiva, col caldo che attanaglia le ultime energie, mi accingo a fare una riflessione, per così dire, ad “alta voce”.

L’oggetto della mia riflessione sono due episodi di infortunio mortale sul lavoro, di cui mi sono occupato negli ultimi tre anni, in qualità di consulente.

 

Episodi alquanto “semplici”, nella loro dinamica (direi quasi “banali” se non si trattasse di infortuni mortali) e che hanno riguardato due differenti cantieri.

 

Entrambi gli episodi sono accumunati dal crollo di pareti in demolizione, con schiacciamento del sottostante operatore.

Nello specifico:

-          il primo caso riguarda il taglio di un pannello prefabbricato di calcestruzzo, con funzione di tamponamento di un capannone;

-          il secondo, la demolizione di un tratto di parete in muratura.

 

Nel primo caso, l’infortunio si è generato perché il tratto di pannello oggetto di taglio (effettuato con apposito macchinario) non è stato supportato adeguatamente; pertanto, quasi subito dopo il taglio dei due lati del pannello, lo stesso sì è ribaltato al suolo, schiacciando uno degli operatori addetti al taglio.

 

Nel secondo caso, l’infortunio si è generato perché gli operatori effettuavano la demolizione dal basso della parete verso l’alto, contrariamente a quello che il logico “ordine delle demolizioni” avrebbe dovuto imporre. Fino a quando, ancora in fase di demolizione, la parete non è collassata, investendo uno degli operatori impegnati.

 

Durante le operazioni peritali che ho seguito, in entrambi i casi ho sentito alcuni testimoni riferire di “destino”. Se fossi un poeta e non un ingegnere, parlerei di banalità del morire. Ma non è così.

 

In entrambi i casi, il denominatore comune di entrambi gli episodi tragici è stato l’omessa valutazione dei rischi. In entrambi gli episodi, non era stata fatta, preventivamente, la valutazione del rischio legata all’attività demolitoria.

 

In particolare, nel primo caso:

-          non era stato designato dal Committente il CSP/CSE, con conseguente mancanza del piano di sicurezza e coordinamento (PSC);

-          l’impresa che operava il taglio del pannello non aveva redatto il POS.

Nel secondo caso, invece:

-          il CSE/CSP aveva redatto il PSC, senza valutare però il rischio connesso alla demolizione della parete;

-          il POS non prevedeva la demolizione della parete, né era stato redatto un piano delle demolizioni.

In entrambi i casi, furono i datori di lavoro stessi delle imprese esecutrici che dettero le indicazioni operative (errate, estremamente pericolose) ai lavoratori infortunatisi, in modo da procedere nelle lavorazioni.

 

Riflettendo, al di là della dinamica degli incidenti, per niente complessa nella ricostruzione, ritengo che ancora oggi vi siano notevoli problemi di sicurezza nei cantieri. Specialmente quelli piccoli.

Problemi generati spesso dall’assenza di una cultura di base in materia di sicurezza da parte degli operatori del settore i quali, pur tuttavia, assumono profili di garanzia ai sensi del titolo IV del D.Lgs. 81/2008. Di seguito una breve disanima, per ciascuna figura.

 

·         Il COMMITTENTE, che spesso non sa di essere “la scintilla” della sicurezza, il soggetto da cui il processo della sicurezza prende avvio. Tutto inizia da lui, dalla designazione di CSP/CSE e dalla conseguente elaborazione del PSC, dalla verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese, etc.. Spesso, ancora oggi, il Committente non conosce a pieno i propri obblighi (pochi, ma ben definiti dall’art. 90 del D.Lgs. 81/2008 e s .m.i.), credendo che la propria funzione sia solo quella di far eseguire al meglio l’opera in previsione, minimizzando il costo economico. Senza riflettere che l’assenza di sicurezza in un cantiere e già di per sé un costo economico, che si concretizza in caso di infortunio.

Voglio inoltre aggiungere quella che è spesso la condotta superficiale di consulenti, professionisti, che operano per il Committente e che non segnalano allo stesso l’obbligo di nominare un CSP/CSE (non fanno cioè cultura della sicurezza).

Se ad esempio un professionista antincendio elabora un progetto in cui si prevedono la realizzazione di pareti di compartimentazione e/o di sistemi di protezione attiva antincendio, è opportuno (non obbligatorio), ovvero deontologicamente corretto, che lo stesso informi il Committente, nei casi previsti dal D.Lgs. 81/2008, sull’obbligo di designare un CSP/CSE. Spesso, invece, “non sapendolo”, il Committente chiama più imprese per l’esecuzione degli adeguamenti, “scordandosi” (diciamo così) di ottemperare agli obblighi del sopra nominato art. 90.

Sul punto, si ritiene che qualsiasi progettista/consulente, anche se non specialista in materia di sicurezza, dovrebbe in ogni caso sempre far presente al proprio cliente, gli obblighi dettati dal titolo IV del D.Lgs. 81/2008. Ciò anche per evitare, in caso di incidente, che il magistrato possa “indagare” sul profilo, eventualmente omissivo, dello stesso progettista/consulente.

 

·         L’IMPRESA ESECUTRICE, che spesso non redige il POS o, quando lo fa, risulta lacunoso, ossia privo di una completa valutazione del rischi di tutte le fasi.

In molte piccole imprese (come peraltro occorso in uno dei due infortuni), il POS è spesso redatto dall’impiegato “tutto fare”, che si occupa un po’ di tutto, di fatture, di bollette, di segreteria, di … POS.

E quando si ricorre a consulenti esterni, la prima preoccupazione del Datore di Lavoro dell’impresa esecutrice è spesso il costo del documento e non il suo contenuto, la sua completezza. Solo un POS ben fatto e ben attuato in cantiere, può davvero tutelare l’Impresa esecutrice.

Il più delle volte, però, si tratta di mancanza di cultura della sicurezza. Senza voler generalizzare, si potrebbe dire che ciò è spesso dovuto al fatto che la sicurezza è ancora considerata, in taluni casi, un mero onere economico, al fatto che molti Datori di Lavoro (che magari si “sporcano” le mani in cantiere, da anni) ritengono di conoscere già a sufficienza la “sicurezza”.

L’origine di questo atteggiamento è, a parer mio, in parte dovuto al sistema formativo dei Datori di Lavoro. Essendo, l’attività in cantiere, ad ALTO rischio, i Datori di lavoro delle imprese esecutrici spesso designano RSPP esterni (per evitare un corso formativo che oggi, secondo l’Accordo Stato Regioni del dicembre 2011, ha una durata di almeno 48 ore); RSPP che i Datori di Lavoro incontrano 1 o 2 volte all’anno e che sicuramente non possono trasmettere loro una vera “cultura della sicurezza”. In questo modo, il Datore di Lavoro, che non ha adeguata “cultura della sicurezza”, si trova ad operare in cantiere e a impartire direttamente direttive ai propri lavoratori, nello svolgimento delle lavorazioni. E se non “adeguatamente preparato”, spesso si rischia di dare direttive totalmente errate, fatali per i lavoratori. Non è un caso che i due episodi di infortunio sopra raccontati abbiano avuto come protagonisti, Datori di Lavoro che non avevano nessuna formazione in materia di sicurezza sul lavoro e che avevano nominato un RSPP esterno.

A proposito, si ritiene che la normativa che regola la formazione dei Datori di Lavoro di imprese esecutrici andrebbe parzialmente modificata e che un monte minimo di ore di formazione andrebbe in ogni caso impartito ai Datori di lavoro. Non è possibile, ad esempio, che un Datore di Lavoro di un’impresa esecutrice effettui demolizioni di edifici o loro parti solo in funzione di una propria soggettiva “sensibilità / esperienza” nel settore. Ritengo che  il Datore di Lavoro debba conoscere la normativa del cantiere, almeno nelle parti che lo riguardano (titolo IV del D.Lgs. 81/2008). Insomma, Egli deve eseguire le demolizioni in modo “ordinato”, non solo perché è la logica che lo detta (ohimè, sempre "soggettiva"), ma perché esiste un preciso articolo di legge, il 151 del D.Lgs. 81/2008, che lo impone e che va necessariamente conosciuto.

 

·    L’impresa affidataria, che spesso non verifica, non tanto la congruenza del proprio POS con quello dell’impresa esecutrice (come richiesto dall’art. 97, c. 3 del D.Lgs. 81/2008), ma addirittura la sussistenza di quest’ultimo.

 

·         CSE, che spesso “latita” in cantiere o non verifica il contenuto dei POS e la presenza, quando richiesto, del piano delle demolizioni.

  

Solo una maggiore sensibilizzazione, una maggiore “cultura della sicurezza” di tutti gli operatori di cantiere, in primis quelli con profilo di garanzia, può (e deve) ridurre il tasso di incidenti che avvengono nei cantieri.

La banalità del morire non è tollerabile.

 

Ing. Andrea Giordano

 

 

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